REFERENDUM Italia per la Pace

Referendum contro la guerra e a favore della sanità pubblica

Un gruppo di cittadini e di associazioni si è costituito nel comitato promotore dei referendum “Italia per la Pace”, avviando la raccolta delle 500mila firme necessarie alla presentazione di due quesiti sull’invio di armi in Ucraina. Secondo i promotori, che fanno appello all’articolo 11 della Costituzione, le autorità italiane dovrebbero impegnarsi nei conflitti internazionali non mediante l’invio di armi bensì con un lavoro diplomatico volto a ottenere il cessate il fuoco e delle trattative di pace. Inoltre, visto e considerato che spesso si è ricorsi all’intervento dei privati nella gestione della sanità, motivando tale scelta politica in ragione dell’assenza di soldi pubblici da destinare al sistema sanitario, è chiaro che impedendo di devolvere denaro a scopi militari, si ritaglia una somma spendibile per la salute di tutti i cittadini. È stato quindi predisposto un terzo quesito sul conflitto di interessi nella sanità, per impedire la tendenza alla privatizzazione dei servizi.

I tre quesiti dei referendum

1. INVIO DI ARMI IN UCRAINA

Il nostro ceto politico, tanto di maggioranza quanto di opposizione, ha deciso, salvo lodevoli eccezioni, di destinare ingenti somme di denaro alla produzione di armi da inviare all’Ucraina. Noi riteniamo che il popolo italiano in maggioranza non sia d’accordo e con quesito referendario intendiamo provarlo. Anziché ricercare soluzioni diplomatiche, si coglie l’occasione per produrre armi (e fare profitti) presentandole come necessarie per la pace. Ci proponiamo allora di impedire la possibilità che venga rinnovato l’invio di armi, mezzi, equipaggiamenti e materiali militari ai Paesi coinvolti nel conflitto in corso. Se, infatti, l’esito del referendum dovesse essere positivo, per i partiti non sarebbe più possibile introdurre altre leggi che autorizzino di nuovo il finanziamento della guerra. Chiariamo: non è questione di parteggiare per l’uno o per l’altro schieramento. Con questo referendum si ha a cuore solo la pace che si raggiunge limitando gli armamenti e certo non inviandone di sempre piu’ potenti in teatri di guerra. Le armi uccidono moltitudini di civili e militari sia russi che ucraini e arricchiscono piccoli gruppi di miliardari senza scrupoli che controllano il complesso militare industriale globale.

2. DEROGA AL DIVIETO DI INVIO DI ARMI

Un secondo quesito sulla guerra e’ stato presentato dal Comitato Ripudia la Guerra. Esso vuole togliere al Governo il potere di derogare il divieto di esportazioni di armi in teatri di guerra attraverso la semplice informativa al Parlamento. Se questo referendum avesse successo, ogni decisione futura volta a inviare armi in teatri di guerra, richiederebbe una legge formale e dunque la piena assunzione di responsabilita’ politica del Parlamento. Generazioni Future e Ripudia La Guerra, considerando complementari e mutuamente rafforzativi i quesiti li hanno raggruppati sotto la denominazione “Italia per la pace”.

3. CONFLITTO DI INTERESSI NELLA SANITÀ

Con questo quesito referendario si cerca di impedire la tendenza alla privatizzazione dei servizi per la salute ed il conflitto di interessi nell’allocazione degli ingenti fondi pubblici per la sanità. Il quesito vuole cancellare una previsione di legge per cui le Regioni, cui compete la gestione del sistema sanitario a livello territoriale, possono ammettere la partecipazione nella programmazione della sanità anche di soggetti privati i quali, essendo coinvolti nella gestione, si trovano così in conflitto di interessi. In conseguenza di questo conflitto “endemico”, le ingenti risorse pubbliche spese per la sanita’ finiscono lontane da quegli ambiti in cui i ritorni per i privati sono piu’ limitati. Fra questi, come tragicamente confermato durante la pandemia, le terapie intensive e la medicina di prossimita’. Anche al di la dell’ emergenza pandemica, la conseguenza del conflitto di interessi è sotto gli occhi di tutti: l’accesso alle cure, che dovrebbe essere gratuito e garantito in modo efficiente a tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, è divenuto difficoltoso per coloro che non riescono a sostenere i costi per cure private o semi-private (in convenzione). Come cittadini, abbiamo il diritto di vedere assegnati i fondi alla medicina di prossimità e alle terapie intensive anche se questi settori rendono poco ai privati. L’ Italia spende per la sanità il 7% del suo PIL, una cifra enorme. Essa deve andate dove serve di più non dove si fanno più profitti. Occorre chiarire che il referendum non vuole escludere i privati convenzionati dalla gestione sanitaria che spesso, soprattutto se no profit, svolgono in modo egregio. Vogliamo escluderli dalla programmazione che deve essere invece esclusiva responsabilita’ del pubblco e libera da conflitti di interesse.

Firma i referendum

Si può firmare ai banchetti organizzati dagli attivisti, negli uffici comunali, negli studi legali e dei notai aderenti o presso il consolato.

Si può firmare anche online

Per firmare, clicca qui:

https://generazionifuture.org/il-significato-del-referendum-contro-la-guerra-e-a-favore-della-sanita-pubblica/firma-i-referendum-online/

Ricordiamo che ogni persona può firmare una volta sola.

Riprendiamoci il Comune

Perché una campagna e due leggi d’iniziativa popolare

Le molteplici crisi di questo modello economico e sociale rendono evidente l’insostenibilità di una società regolata dal mercato e finalizzata al profitto individuale.
Un nuovo modello ecologico, sociale e relazionale è possibile a partire dalle comunità territoriali e dalla democrazia di prossimità che permette la partecipazione diretta delle persone alle decisioni sulle scelte fondamentali che le coinvolgono.
Ecco perché nasce la campagna Riprendiamoci il Comune. Nel suo doppio significato di riappropriarci, sottraendolo al mercato e alle privatizzazioni, di tutto quello che ci appartiene e di restituire un ruolo pubblico, sociale, ecologico e relazionale ai Comuni, luoghi della democrazia di prossimità.
Riprendiamoci il Comune vuol dire affrontare i nodi che oggi impediscono ai Comuni di svolgere la propria funzione e alle comunità territoriali di autogovernarsi: la finanza locale e il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti.

LA PRIMA PROPOSTA
La prima proposta di legge si prefigge una profonda riforma della finanza locale, sostituendo al pareggio di bilancio finanziario il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale, reinternalizzando i servizi pubblici a partire dall’acqua, difendendo suolo, territorio, beni comuni e patrimonio pubblico e dando alle comunità territoriali strumenti di autogoverno partecipativo.

LA SECONDA PROPOSTA
La seconda proposta di legge si prefigge la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, trasformandola in ente di diritto pubblico decentrato territorialmente e mettendo a disposizione dei Comuni e delle comunità territoriali le ingentissime risorse del risparmio postale (280mld) come forma di finanziamento a tasso agevolato per gli investimenti dei Comuni decisi attraverso percorsi di partecipazione della comunità territoriale.


Oltre che nei punti di raccolta potete anche

FIRMARE ON LINE, COSÌ:

  1. Andare su https://raccoltafirme.cloud/app/
  2. In alto ci sono le due proposte di legge. Per firmare la prima clicca su “(apri per firmare)” e poi “Voglio firmare”
  3. Inserisci i dati richiesti dalla piattaforma. Controlla che l’indirizzo email sia corretto e poi clicca “Invia”
  4. Ricevuta la mail di conferma clicca il link che contiene e procedi alla firma con SPID, firma digitale elettronica o sistema TrustPRO

Identica procedura per la seconda proposta.

Una risposta doverosa: “Perché mi chiede di pagare 1,5 euro a firma?”

La piattaforma pubblica di raccolta firme su referendum e iniziative popolari non è ancora pronta. Quindi, come altri promotori di referendum o leggi dal basso, gli organizzatori si sono rivolti ad un operatore privato (itAgile) che si fa pagare per le operazioni tecniche. A lui e solo a lui va il contributo richiesto.

Stop trade with settlements

Per il rispetto delle leggi europee

Il 29 novembre è la giornata internazionale di solidarietà al popolo palestinese.

Per popolo palestinese, s’intende la comunità di persone, superiore alle otto milioni di unità, che vive principalmente nei territori occupati da Israele sin dal 1967, ma, in forma minoritaria, anche a Gerusalemme Est, in Israele, nei vicini stati arabi e nei campi rifugiati della regione.

La giornata fu istituita dall’ONU 44 anni fa in accordo col mandato dell’Assemblea Generale contenuto nelle risoluzioni: 32/40 B del 2 Dicembre 1977, 34/65 D del 12 dicembre 1979, e in tutte le successive risoluzioni adottate sotto il tema “Questione della Palestina”. La data fu scelta a causa del suo significato e della sua importanza per il popolo palestinese. In questa data nel 1947, infatti, l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la risoluzione 181 (II), poi conosciuta come la “Risoluzione della Partizione”. Tale risoluzione conteneva disposizioni per la creazione di due stati in Palestina, lo “Stato Arabo” e lo “Stato Ebraico”, con Gerusalemme posta sotto giurisdizione internazionale separata. Dei due stati contenuti nella risoluzione, solo uno oggi, Israele, ha visto la luce.

Sappiamo tutti cos’è successo dopo di allora e la situazione dei molti palestinesi sopravvissuti alla distruzione dei villaggi e diventati profughi a vita e per generazioni.

Per questo motivo, nel 1975, con la risoluzione 3376, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito la nascita del Comitato per l’esercizio dei Diritti Inalienabili del popolo palestinese (CEIRPP), organo col mandato di elaborare e consigliare all’Assemblea un programma che permettesse al popolo palestinese di esercitare i suoi diritti inalienabili, incluso quello alla autodeterminazione priva da interferenze esterne, quello all’indipendenza sovrana e quello a tornare nei luoghi e nelle proprietà da cui sono stati spostati. A tale scopo, il mandato del CEIRPP è stato rinnovato da quel momento su base annuale.

La continua opera del Comitato ha portato nel 1991 alla Conferenza di Pace di Madrid e nel 1993 alla Dichiarazione dei Principi, correlata alla serie di accordi raggiunti ad Oslo tra Israele e la Palestine Liberation Organization (PLO). Con il tempo il Comitato ha continuato a supportare fortemente l’obiettivo, tracciato nella Risoluzione 1397 del Consiglio di Sicurezza nel 2002, dell’esistenza di due stati, Israele e Palestina, che coesistano fianco a fianco, con confini sicuri e riconosciuti.

L’illusione che con i trattati di Oslo nascesse uno stato di Palestina è un triste ricordo, anche se a parole molti Stati membri Onu sono favorevoli.

Per questo è doveroso ricordare ogni anno quello che successe 75 anni fa e quello che succede oggi. Doverosa quindi la solidarietà concreta a chi da più di cinquant’anni vive sotto occupazione e perde ogni giorno diritti come la casa, il lavoro, la salute.

Qui puoi vederere la petizione presentata alla commissione europea