Riprendiamoci il Comune

Perché una campagna e due leggi d’iniziativa popolare

Le molteplici crisi di questo modello economico e sociale rendono evidente l’insostenibilità di una società regolata dal mercato e finalizzata al profitto individuale.
Un nuovo modello ecologico, sociale e relazionale è possibile a partire dalle comunità territoriali e dalla democrazia di prossimità che permette la partecipazione diretta delle persone alle decisioni sulle scelte fondamentali che le coinvolgono.
Ecco perché nasce la campagna Riprendiamoci il Comune. Nel suo doppio significato di riappropriarci, sottraendolo al mercato e alle privatizzazioni, di tutto quello che ci appartiene e di restituire un ruolo pubblico, sociale, ecologico e relazionale ai Comuni, luoghi della democrazia di prossimità.
Riprendiamoci il Comune vuol dire affrontare i nodi che oggi impediscono ai Comuni di svolgere la propria funzione e alle comunità territoriali di autogovernarsi: la finanza locale e il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti.

LA PRIMA PROPOSTA
La prima proposta di legge si prefigge una profonda riforma della finanza locale, sostituendo al pareggio di bilancio finanziario il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale, reinternalizzando i servizi pubblici a partire dall’acqua, difendendo suolo, territorio, beni comuni e patrimonio pubblico e dando alle comunità territoriali strumenti di autogoverno partecipativo.

LA SECONDA PROPOSTA
La seconda proposta di legge si prefigge la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, trasformandola in ente di diritto pubblico decentrato territorialmente e mettendo a disposizione dei Comuni e delle comunità territoriali le ingentissime risorse del risparmio postale (280mld) come forma di finanziamento a tasso agevolato per gli investimenti dei Comuni decisi attraverso percorsi di partecipazione della comunità territoriale.


Oltre che nei punti di raccolta potete anche

FIRMARE ON LINE, COSÌ:

  1. Andare su https://raccoltafirme.cloud/app/
  2. In alto ci sono le due proposte di legge. Per firmare la prima clicca su “(apri per firmare)” e poi “Voglio firmare”
  3. Inserisci i dati richiesti dalla piattaforma. Controlla che l’indirizzo email sia corretto e poi clicca “Invia”
  4. Ricevuta la mail di conferma clicca il link che contiene e procedi alla firma con SPID, firma digitale elettronica o sistema TrustPRO

Identica procedura per la seconda proposta.

Una risposta doverosa: “Perché mi chiede di pagare 1,5 euro a firma?”

La piattaforma pubblica di raccolta firme su referendum e iniziative popolari non è ancora pronta. Quindi, come altri promotori di referendum o leggi dal basso, gli organizzatori si sono rivolti ad un operatore privato (itAgile) che si fa pagare per le operazioni tecniche. A lui e solo a lui va il contributo richiesto.

Stop trade with settlements

Per il rispetto delle leggi europee

Il 29 novembre è la giornata internazionale di solidarietà al popolo palestinese.

Per popolo palestinese, s’intende la comunità di persone, superiore alle otto milioni di unità, che vive principalmente nei territori occupati da Israele sin dal 1967, ma, in forma minoritaria, anche a Gerusalemme Est, in Israele, nei vicini stati arabi e nei campi rifugiati della regione.

La giornata fu istituita dall’ONU 44 anni fa in accordo col mandato dell’Assemblea Generale contenuto nelle risoluzioni: 32/40 B del 2 Dicembre 1977, 34/65 D del 12 dicembre 1979, e in tutte le successive risoluzioni adottate sotto il tema “Questione della Palestina”. La data fu scelta a causa del suo significato e della sua importanza per il popolo palestinese. In questa data nel 1947, infatti, l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la risoluzione 181 (II), poi conosciuta come la “Risoluzione della Partizione”. Tale risoluzione conteneva disposizioni per la creazione di due stati in Palestina, lo “Stato Arabo” e lo “Stato Ebraico”, con Gerusalemme posta sotto giurisdizione internazionale separata. Dei due stati contenuti nella risoluzione, solo uno oggi, Israele, ha visto la luce.

Sappiamo tutti cos’è successo dopo di allora e la situazione dei molti palestinesi sopravvissuti alla distruzione dei villaggi e diventati profughi a vita e per generazioni.

Per questo motivo, nel 1975, con la risoluzione 3376, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito la nascita del Comitato per l’esercizio dei Diritti Inalienabili del popolo palestinese (CEIRPP), organo col mandato di elaborare e consigliare all’Assemblea un programma che permettesse al popolo palestinese di esercitare i suoi diritti inalienabili, incluso quello alla autodeterminazione priva da interferenze esterne, quello all’indipendenza sovrana e quello a tornare nei luoghi e nelle proprietà da cui sono stati spostati. A tale scopo, il mandato del CEIRPP è stato rinnovato da quel momento su base annuale.

La continua opera del Comitato ha portato nel 1991 alla Conferenza di Pace di Madrid e nel 1993 alla Dichiarazione dei Principi, correlata alla serie di accordi raggiunti ad Oslo tra Israele e la Palestine Liberation Organization (PLO). Con il tempo il Comitato ha continuato a supportare fortemente l’obiettivo, tracciato nella Risoluzione 1397 del Consiglio di Sicurezza nel 2002, dell’esistenza di due stati, Israele e Palestina, che coesistano fianco a fianco, con confini sicuri e riconosciuti.

L’illusione che con i trattati di Oslo nascesse uno stato di Palestina è un triste ricordo, anche se a parole molti Stati membri Onu sono favorevoli.

Per questo è doveroso ricordare ogni anno quello che successe 75 anni fa e quello che succede oggi. Doverosa quindi la solidarietà concreta a chi da più di cinquant’anni vive sotto occupazione e perde ogni giorno diritti come la casa, il lavoro, la salute.

Qui puoi vederere la petizione presentata alla commissione europea

A Gaza non c’è più acqua

Già prima dei bombardamenti dello scorso maggio, il sistema idrico e igienico-sanitario della regione di Gaza non era sufficiente per rispondere ai bisogni delle persone che ci vivono. Circa 100.000 palestinesi sono stati sfollati e cercano ora di fare ritorno alle proprie case. Ma a queste famiglie mancano le cose più importanti: l’acqua potabile e le cure mediche.

Il blocco illegale di Israele inoltre limita gravemente, o impedisce del tutto, l’entrata di materiali che permetterebbero al settore idrico ed igienico-sanitario di Gaza di riprendersi da anni di conflitto e non-sviluppo.

Come conseguenza di tutto ciò, la crisi idrica sta pericolosamente peggiorando.
Basti pensare che le falde acquifere sotterranee sono scese di 10 metri sotto il livello medio del mare, causando l’intrusione di acqua di mare e la conseguente contaminazione. Questo perché, purtroppo, la domanda e l’estrazione annuale di acqua è 4 volte superiore alla capacità di rigenerazione delle falde acquifere.

Purtroppo, il COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione.
Arrivano poche dosi di vaccino, il sovraffollamento è enorme (con più di 2 milioni che vivono nella Striscia di Gaza, è una delle aree più densamente popolate del mondo) e la mancanza di riserve d’acqua rende questa minaccia ancora più letale.

I prezzi dei generi alimentari hanno subito un’impennata per effetto del conflitto ucraino: il prezzo della farina è aumentato del 23,6%, l’olio di mail del 26,3%, il prezzo dei legumi del 17,6%, il prezzo del sale del 30%.

I NUMERI DELL’EMERGENZA

Solo il 4% della popolazione ha accesso ad acqua potabile gestita attraverso il sistema idrico pubblico.

Le malattie associate all’acqua rappresentano circa il 26% delle malattie infantili a Gaza.

In Palestina solo 296.000 persone sono state vaccinate con 2 dosi (5,82% della popolazione).


Sul sito di Oxfam Italia puoi leggere di più e sottoscrivere l’appello.