GRAZIE, GINO

Gino Strada è stato un costruttore di pace. Ha costruito la pace promuovendo la cura delle persone e il rifiuto della guerra e delle armi. Persona dalle grandi qualità umane e professionali, Gino Strada ha interpretato con grande coerenza e pragmatismo l’insegnamento di Gandhi sull’importanza fondamentale di trasformare i pensieri in azioni: “Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”.

Era contro la guerra, “la più grande vergogna dell’umanità”, e sottolineava spesso il legame indissolubile tra diritti umani e pace, come sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui contestava la clamorosa mancata attuazione. Nel novembre del 2015, ricevendo il Premio per la pace “Right Livelihood Award”, il premio che si affianca al tradizionale Premio Nobel, disse che quella dichiarazione appariva falsa, provocatoria e offensiva. “A oggi – disse Gino Strada – non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi. La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani”. Queste parole sono le nostre. E su queste parole dovrebbero riflettere gli ipocriti che allora lo contestavano e che oggi lo piangono.

Gino Strada muore proprio nel momento in cui si conclude, dopo vent’anni, l’occupazione militare delle missioni Usa e Nato in Afghanistan, quell’Afghanistan a cui Gino ha dedicato anima e corpo per tantissimi anni e sul quale ha svolto, il giorno prima di morire, la sua ennesima riflessione: «Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi. Un fallimento da ogni punto di vista: 241 mila vittime e 5 milioni di sfollati, i talebani più forti di prima e, soprattutto, un Paese distrutto. Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano».

Caro Gino, grazie per tutto quello che hai fatto. Grazie per il tuo insegnamento, grazie per il tuo impegno, per le vite salvate e per il percorso che hai intrapreso, che ora sta ora a noi riprendere, per contribuire a costruire un altro mondo ancora possibile.

Seguono i firmatariPubblicato il 17 agosto 2021
sulla Gazzetta di Mantova

Mantova per la Pace, rete provinciale di associazioni, cittadine e cittadini con le associazioni aderenti:

  • Arci provinciale
  • Associazione Colibrì
  • Cgil
  • Cooperativa Il Mappamondo
  • Coordinamento soci Banca Etica
  • Emergency
  • eQual
  • Ethics Expo
  • Gruppo La pace ci piace
  • Libera
  • Libertà e Giustizia
  • Mediterranea Saving Humans
  • Movimento Nonviolento
  • Namaste Ostiglia
  • Officina dell’Intercultura
  • Progetto “Ambiente e Costituzione”
  • Università Verde Pietro Toesca

Non c’è pace senza giustizia

Israele e Palestina davanti alla Porta di Damasco

Non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani. Non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.

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Dopo undici giorni di raid israeliani su Gaza e di lanci di missili da parte di Hamas, una fragile tregua ha momentaneamente interrotto la prevedibile e impressionante escalation di violenze che ha coinvolto tutti i territori palestinesi occupati e quelli israeliani, con razzi e bombe che hanno colpito la popolazione civile, ferendo e uccidendo bambini innocenti, ma anche con durissimi scontri e morti in diverse città dove si è bruscamente interrotta la convivenza tra arabi ed ebrei. Purtroppo da anni la irrisolta questione israelo-palestinese è assente dall’agenda internazionale. Anche la questione di Gerusalemme e del futuro della città resta sospesa. Sono questioni che non si risolvono certamente con prove di forza, né con l’imposizione da una parte o dall’altra, ma soltanto con un consenso generale.

Oggi siamo di fronte al risultato tragico di una politica del disprezzo e dell’arroganza portata avanti dalle formazioni estremiste della destra religiosa israeliana. E questo disprezzo è sempre l’anticamera della violenza. Ma se da una parte la destra religiosa ultranazionalista ha gettato benzina sul fuoco, dall’altra ha fatto eco l’ostinata battaglia di Hamas che ha utilizzato strumentalmente la vicenda della Moschea di al Aqsa a Gerusalemme, dove è stato impedito ai palestinesi musulmani di avere accesso ai Luoghi Santi durante il Ramadan e di pregare liberamente. Da entrambe le parti si è utilizzato l’aspetto religioso per contaminarlo con la politica, rendendo ancor più complessa una soluzione. A queste controversie aggiungiamo lo sgombero forzato delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah (Gerusalemme est), operato dalle forze di sicurezza, che non può essere ridotto ad una controversia immobiliare, ma che rappresenta il frutto della politica di apartheid di Israele.

Tutti questi episodi ci interpellano, come costruttori di pace e di giustizia, e ci spingono ad andare alla radice dei problemi affrontandone la complessità. Come si fa a vivere in pace – è stato giustamente sottolineato – quando vengono confiscate le tue terre, quando la tua casa viene demolita, i coloni moltiplicano illegalmente gli insediamenti e ogni giorno viene eretto, oltre al Muro, un reticolato di divieti di cemento difesi con il mitra spianato? Tutto questo avviene sotto occupazione militare, contro il diritto internazionale. Allora non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani.

Pensare di risolvere la “questione palestinese” con gli espropri forzati, le demolizioni di case e sostituendo la popolazione attuale con nuovi insediamenti ebraici (come a Gerusalemme Est), è quanto di più dannoso e contrario alla costruzione di una pace giusta e alla convivenza tra le due comunità. Siamo convinti che non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.

Seguono i firmatariPubblicato il 23 maggio 2021
sulla Gazzetta di Mantova
  • Claudio Morselli (Movimento Nonviolento) (Mantova per la Pace)
  • Marco Pirovano (Centro diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro)

Aerei spia

Gulfstream Caew

Ha un nome straniero, difficile da pronunciare: Gulfstream Caew. Eppure ci dovrebbe essere familiare: vola sopra le nostre teste nei cieli di mezza Italia. Ogni giorno per acquisire dati di navi, aerei, veicoli. Insomma, in tutto e per tutto, un aereo spia. Dicono gli esperti, con gli occhi lucidi dall’emozione, che è il mezzo militare più avanzato del mondo, con sofisticatissima tecnologia israeliana. Sono due esemplari per il controllo del nostro Paese (per ora solo di una parte, ma vedrete… rimedieremo!). Ha sei schermi su cui arrivano tutti i dati raccolti; è in grado di captare tutte le frequenze di radar e di radio. Un vero gioiello, dice orgoglioso il mondo militare. Ma, a mio parere, ha due difetti enormi: il primo che è stato acquistato in un’ottica bellica, il secondo che, ciascuno, costa “appena” 450 milioni. L’Italia ne possiede, al momento, solo due, ma già pare che l’idea sia di comprarne altri otto. Il che significa mettere a bilancio la bella somma di 4 miliardi. Davvero una pura follia per un Paese stremato dagli effetti economici di una terribile pandemia e con un debito pubblico da sempre enorme. E poi con quale finalità? E chi spinge per questo ingente investimento? Gli Usa, la Nato, la grande industria militare? Penso che tutti coloro che credono in una società più giusta e che metta l’uomo sempre al primo posto, debbano opporsi a questo acquisto folle e inutile. Questi 4 miliardi spendiamoli per la sanità, per la scuola, per la ricerca. O per aiutare chi non ce la fa (e sono milioni). E parlando di aerei-spia: ma francamente chi dobbiamo spiare ogni giorno? Chi sono i nostri nemici? Se vogliamo la pace, come ci indica fermamente l’articolo 11 della nostra Costituzione, dobbiamo preparare la pace, non la guerra. E quei meravigliosi gioielli, che volano ogni giorno sulle nostre teste, non sono certamente strumenti di Pace.

Di Franco ReggianiPubblicato il 30 dicembre 2020
sulla Gazzetta di Mantova