Già prima dei bombardamenti dello scorso maggio, il sistema idrico e igienico-sanitario della regione di Gaza non era sufficiente per rispondere ai bisogni delle persone che ci vivono. Circa 100.000 palestinesi sono stati sfollati e cercano ora di fare ritorno alle proprie case. Ma a queste famiglie mancano le cose più importanti: l’acqua potabile e le cure mediche.
Il blocco illegale di Israele inoltre limita gravemente, o impedisce del tutto, l’entrata di materiali che permetterebbero al settore idrico ed igienico-sanitario di Gaza di riprendersi da anni di conflitto e non-sviluppo.
Come conseguenza di tutto ciò, la crisi idrica sta pericolosamente peggiorando.
Basti pensare che le falde acquifere sotterranee sono scese di 10 metri sotto il livello medio del mare, causando l’intrusione di acqua di mare e la conseguente contaminazione. Questo perché, purtroppo, la domanda e l’estrazione annuale di acqua è 4 volte superiore alla capacità di rigenerazione delle falde acquifere.
Purtroppo, il COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione.
Arrivano poche dosi di vaccino, il sovraffollamento è enorme (con più di 2 milioni che vivono nella Striscia di Gaza, è una delle aree più densamente popolate del mondo) e la mancanza di riserve d’acqua rende questa minaccia ancora più letale.
I prezzi dei generi alimentari hanno subito un’impennata per effetto del conflitto ucraino: il prezzo della farina è aumentato del 23,6%, l’olio di mail del 26,3%, il prezzo dei legumi del 17,6%, il prezzo del sale del 30%.
I NUMERI DELL’EMERGENZA
Solo il 4% della popolazione ha accesso ad acqua potabile gestita attraverso il sistema idrico pubblico.
Le malattie associate all’acqua rappresentano circa il 26% delle malattie infantili a Gaza.
In Palestina solo 296.000 persone sono state vaccinate con 2 dosi (5,82% della popolazione).