Quello che mangiamo oggi determina il mondo di domani: non mettiamo il Pianeta nel piatto!
Buona parte della carne venduta nei supermercati è prodotta all’interno di allevamenti intensivi: vere e proprie fabbriche di carne. Per produrre e vendere sempre di più e a prezzi sempre più bassi, gli animali sono sottoposti a trattamenti atroci, si inquina acqua, suolo e aria e si distruggono le foreste e la biodiversità per far spazio alla produzione di mangimi. Cambiamo le regole di questo sistema!
Carne e latticini: “Meno è Meglio”
Le scelte alimentari che facciamo oggi determinano lo stato del Pianeta sul quale vivremo domani. Greenpeace chiede una riduzione del 50% a livello globale di produzione e consumo di prodotti di origine animale al 2050 per evitare gli impatti più devastanti dei cambiamenti climatici e rispettare gli Accordi di Parigi sulle emissioni di CO2.
STOP fondi pubblici per Allevamenti Intensivi
Negli ultimi decenni, i fondi pubblici assegnati in modo sproporzionato hanno fatto crescere le grandi aziende agricole di stampo intensivo e industriale, contribuendo di fatto alla scomparsa delle realtà più piccole e più sostenibili.
Nel 2021 l’Unione europea applicherà la nuova “Politica Agricola Comune” (PAC) ovvero l’insieme di regole per l’assegnazione di sussidi e incentivi agli agricoltori e allevatori europei. Con la nostra campagna, vogliamo chiedere all’Unione Europea e al Governo italiano di tagliare i sussidi agli allevamenti intensivi e sostenere aziende agricole che producono con metodi ecologici.
Mentre in campagna elettorale si parla di tutt’altro, c’è un punto preciso che dovrebbe essere oggetto di riflessione da cui tutti ripartire. In una conferenza a cui di recente ho assistito ad Assisi, una prima slide esibiva questo messaggio: “Gli ultimi tre decenni sono stati più inquinanti dei precedenti 200 anni. Siamo una generazione irresponsabile”. La successiva mostrava, a partire dagli anni ’80, l’impennata del diagramma del riscaldamento globale con questo commento: “Una catastrofe annunciata”. Secondo green report negli ultimi 10 anni le catastrofi naturali in Italia hanno provocato 50 miliardi di danni e gli eventi estremi sono più che quadruplicati. Mentre la prevenzione rimane indietro, si annuncia un progressivo incremento di questi fenomeni. Il mare mediterraneo con la febbre assomiglia sempre più al mare dei Caraibi ed è in grado di alimentare eventi estremi di maltempo. Questi pochi accenni suggeriscono un ragionamento più ampio, che riguarda l’intero pianeta. Se si continua a trattare la madre terra come una miniera da cui cavare tutto ciò che al momento arricchisce e come una discarica da riempire con montagne di rifiuti e l’atmosfera con miliardi di tonnellate di CO2 e altri inquinanti, creiamo un contesto sempre più invivibile. In maniera irreversibile. La dimensione planetaria parrebbe astratta, lontana. In realtà è concreta, quotidiana e vicina. La minaccia nucleare e la dinamica ecologica fanno dell’umanità una comunità di destino, nonostante la scarsa coscienza. Papa Francesco così raffigura la situazione: “Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida”. Negli anni scorsi sono stati pubblicati romanzi che rappresentano una metafora dell’attuale società umana. Il romanzo può avere un notevole impatto per risvegliare dal torpore mentale. Ne cito due. “Cecità” è il romanzo di Josè Saramago. L’autore mette sulle labbra dell’unica vedente in un mondo di ciechi queste parole: “Il tempo sta per concludersi, la putredine dilaga, le malattie trovano le porte aperte, l’acqua si esaurisce, il cibo è ormai veleno… Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità”. L’altro romanzo è di Amitav Ghosh uno dei più grandi scrittori indiani: “La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile”. E’ un titolo dinamico e proiettato al futuro. Cecità ricorre più volte nella narrazione. Ad esempio dopo la citazione di un autore: «Il denaro scorre verso il guadagno a breve termine. Verso lo sfruttamento eccessivo di risorse comuni non regolate. Queste tendenze sono come la mano invisibile del fato. Che nelle tragedie greche guida l’eroe verso l’inevitabile catastrofe» (David Archer). E lui commenta: «Questa è l’essenza dell’odierna cecità del genere umano». La contraddizione di fondo nella quale ci troviamo è questa: da un lato è ormai chiaro che il surriscaldamento è globale e riguarda tutti, quindi è un problema collettivo, ma dall’altro domina una cultura che ha espulso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e da gran parte dei media. Il nostro comune modo di pensare prescinde, o addirittura si oppone alla dimensione collettiva. L’individualismo e il privato la fanno da padroni. Tutto questo produce la cecità. Parlando delle istituzioni politiche Amitav Ghosh aggiunge: «Mi appare sempre più evidente che da sole le istituzioni politiche sono incapaci di affrontare questa crisi. Il motivo è semplice: il pilastro di queste strutture è lo stato nazione, che per propria natura è tenuto a tutelare gli interessi di un unico gruppo di persone…». Le pulsioni nazionalistiche diffuse nel mondo e presenti anche in Europa, sono come una cateratta che ostacola la capacità di guardare al pianeta in termini di sostenibilità globale e di diritto dei popoli, di tutti i popoli, a vivere in una terra abitabile. Così succede anche a casa nostra, dove la politica sembra aver smarrito il senso della propria mission, prigioniera di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività nella cura dell’ambiente, del territorio, dei beni comuni e della totalità dei cittadini e degli ospiti. L’ultima parola del titolo è “l’impensabile”. Restiamo stupiti dinanzi ai segnali evidenti e quotidiani di uno sconvolgimento che con sempre maggiore frequenza aggredisce il nostro habitat e le nostre vite. Se non cambiamo rapidamente, essi rappresentano soltanto l’inizio di qualcosa che non riusciamo neppure a immaginare. L’impensabile appunto. E il tempo si è fatto breve. Ma la campagna elettorale non lo sa.
don Roberto Fiorini
Lettera pubblicata sulla Gazzetta di Mantova il 22 agosto 2022
Le missioni militari? «Servono a difendere l’industria del petrolio»
La denuncia in un rapporto europeo curato da Greenpeace Il 64 per cento della spesa italiana destinato alla protezione di fonti fossili
Le missioni militari italiane, e anche quelle di altri Paesi europei, servono a proteggere gli interessi dell’industria del petrolio e del gas. Le risorse della difesa, quindi, finiscono per aggravare la crisi climatica. È la sintesi brutale del rapporto europeo «The sirens of oil and gas in the age of climate crisis», curato da Greenpeace Italia.
Per quanto riguarda il nostro Paese, il 64 per cento della spesa italiana per le missioni militari è destinato a operazioni collegate alla difesa di fonti fossili, per un totale di quasi 800 milioni di euro spesi nel solo 2021 e ben 2,4 miliardi di euro negli ultimi quattro anni.particolare, sono due le missioni militari – l’operazione Gabinia nel Golfo di Guinea e l’operazione Mare Sicuro al largo della costa libica – che hanno come primo compito la «sorveglianza e protezione delle piattaforme di Eni ubicate nelle acque internazionali». Il virgolettato è tratto dall’ultima relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta dal ministero della Difesa. È il ministro Lorenzo Guerini, insomma, a collegare molte missioni militari alla tutela di fonti fossili.
Oltre alla Libia ci sono anche quelle in Iraq (il cui crollo «metterebbe a repentaglio la nostra sicurezza energetica», secondo le parole usate dal ministro) e quelle nel Mediterraneo orientale (dove è necessaria «una nostra presenza più regolare» dato che «la possibilità di sfruttamento delle risorse energetiche è fortemente condizionata dal contenzioso marittimo in corso»). Anche le operazioni militari in zone strategiche per le nostre importazioni di petrolio e gas, come il Golfo di Aden e lo Stretto di Hormuz, hanno la finalità di proteggere la «sicurezza energetica» del Paese. Nei prossimi mesi, inoltre, l’Italia dovrebbe aderire anche alla missione Ue nella provincia di Cabo Delgado (Mozambico), dove secondo il ministro gli scontri stanno causando «interruzioni dell’attività estrattiva».
Il rapporto di Greenpeace Italia ha analizzato anche le missioni militari di Nato, Unione europea, Spagna e Germania, stimando che circa due terzi delle operazioni militari dell’Ue servono a tutelare attività di ricerca, estrazione e importazione di gas e petrolio. Negli ultimi quattro anni, i tre Paesi oggetto dell’indagine (Italia, Spagna e Germania) hanno speso più di 4 miliardi di euro per la protezione militare degli interessi petroliferi e gasiferi. Per l’organizzazione ambientalista si tratta di un vero paradosso, considerando che oggi la più grave minaccia per l’umanità è rappresentata dal riscaldamento del Pianeta: anziché sprecare risorse per difendere gli interessi dell’industria del gas e del petrolio, si dovrebbero proteggere le persone dagli impatti della crisi climatica alimentata proprio dallo sfruttamento delle fonti fossili.
Il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici ha stimato per l’Italia «un aumento della probabilità del rischio meteorologico estremo di circa il 9%» negli ultimi 20 anni (1999-2018). In occasione della COP26 di Glasgow, il governo italiano ha anche firmato la «Dichiarazione sul sostegno pubblico internazionale per la transizione all’energia pulita», che impegnerebbe il Paese a porre fine a nuovi sostegni pubblici diretti al settore energetico internazionale delle fonti fossili non abbattute entro la fine del 2022. Greenpeace Italia chiede perciò al governo Draghi lo stop immediato alla protezione militare delle fonti fossili, il cui impatto devastante sulla crisi climatica è da tempo assodato scientificamente.
«La sicurezza energetica di cittadine e cittadini si tutela investendo in fonti rinnovabili, non facendo gli interessi delle compagnie dei combustibili fossili con missioni militari all’estero», commenta Chiara Campione, portavoce di Greenpeace Italia.
Il rapporto dice in fondo una cosa semplice e cioè che archiviando petrolio e gas e investendo sulle energie rinnovabili, «avremmo un triplice effetto positivo»: a una riduzione del rischio di scontri militari si accompagnerebbe anche un intervento per il miglioramento delle condizioni climatiche e un risparmio di risorse economiche che potrebbero essere destinate a misure urgenti, come una transizione ecologica più giusta, e un miglioramento delle strutture del welfare europeo. «E terremo fede – conclude Greenpeace – alla promessa di un continente, l’Europa, che si propone come elemento di pace, stabilità e cooperazione internazionale».