Non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani. Non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.
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Dopo undici giorni di raid israeliani su Gaza e di lanci di missili da parte di Hamas, una fragile tregua ha momentaneamente interrotto la prevedibile e impressionante escalation di violenze che ha coinvolto tutti i territori palestinesi occupati e quelli israeliani, con razzi e bombe che hanno colpito la popolazione civile, ferendo e uccidendo bambini innocenti, ma anche con durissimi scontri e morti in diverse città dove si è bruscamente interrotta la convivenza tra arabi ed ebrei. Purtroppo da anni la irrisolta questione israelo-palestinese è assente dall’agenda internazionale. Anche la questione di Gerusalemme e del futuro della città resta sospesa. Sono questioni che non si risolvono certamente con prove di forza, né con l’imposizione da una parte o dall’altra, ma soltanto con un consenso generale.
Oggi siamo di fronte al risultato tragico di una politica del disprezzo e dell’arroganza portata avanti dalle formazioni estremiste della destra religiosa israeliana. E questo disprezzo è sempre l’anticamera della violenza. Ma se da una parte la destra religiosa ultranazionalista ha gettato benzina sul fuoco, dall’altra ha fatto eco l’ostinata battaglia di Hamas che ha utilizzato strumentalmente la vicenda della Moschea di al Aqsa a Gerusalemme, dove è stato impedito ai palestinesi musulmani di avere accesso ai Luoghi Santi durante il Ramadan e di pregare liberamente. Da entrambe le parti si è utilizzato l’aspetto religioso per contaminarlo con la politica, rendendo ancor più complessa una soluzione. A queste controversie aggiungiamo lo sgombero forzato delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah (Gerusalemme est), operato dalle forze di sicurezza, che non può essere ridotto ad una controversia immobiliare, ma che rappresenta il frutto della politica di apartheid di Israele.
Tutti questi episodi ci interpellano, come costruttori di pace e di giustizia, e ci spingono ad andare alla radice dei problemi affrontandone la complessità. Come si fa a vivere in pace – è stato giustamente sottolineato – quando vengono confiscate le tue terre, quando la tua casa viene demolita, i coloni moltiplicano illegalmente gli insediamenti e ogni giorno viene eretto, oltre al Muro, un reticolato di divieti di cemento difesi con il mitra spianato? Tutto questo avviene sotto occupazione militare, contro il diritto internazionale. Allora non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani.
Pensare di risolvere la “questione palestinese” con gli espropri forzati, le demolizioni di case e sostituendo la popolazione attuale con nuovi insediamenti ebraici (come a Gerusalemme Est), è quanto di più dannoso e contrario alla costruzione di una pace giusta e alla convivenza tra le due comunità. Siamo convinti che non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.
Seguono i firmatari | Pubblicato il 23 maggio 2021 |
sulla Gazzetta di Mantova |
- Claudio Morselli (Movimento Nonviolento) (Mantova per la Pace)
- Marco Pirovano (Centro diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro)