La guerra è la strada sbagliata

«Non c’è una guerra che sia finita bene e non c’è luogo in cui la democrazia sia stata esportata con le armi. Siamo dovuti partire da ogni Paese occupato con i blindati e il costo politico della fuga risulta enormemente maggiore di quello messo in preventivo. Iraq, Siria, Libia ancora sono bracieri ardenti e nulla ci hanno purtroppo insegnato. L’Afghanistan è l’ultima tappa di questa indisturbata e suicida crociera militare che finisce in un bagno di sangue e in una catastrofe geopolitica»

Jean-Paul Fitoussi

23.08.2021

GRAZIE, GINO

Gino Strada è stato un costruttore di pace. Ha costruito la pace promuovendo la cura delle persone e il rifiuto della guerra e delle armi. Persona dalle grandi qualità umane e professionali, Gino Strada ha interpretato con grande coerenza e pragmatismo l’insegnamento di Gandhi sull’importanza fondamentale di trasformare i pensieri in azioni: “Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”.

Era contro la guerra, “la più grande vergogna dell’umanità”, e sottolineava spesso il legame indissolubile tra diritti umani e pace, come sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui contestava la clamorosa mancata attuazione. Nel novembre del 2015, ricevendo il Premio per la pace “Right Livelihood Award”, il premio che si affianca al tradizionale Premio Nobel, disse che quella dichiarazione appariva falsa, provocatoria e offensiva. “A oggi – disse Gino Strada – non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi. La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani”. Queste parole sono le nostre. E su queste parole dovrebbero riflettere gli ipocriti che allora lo contestavano e che oggi lo piangono.

Gino Strada muore proprio nel momento in cui si conclude, dopo vent’anni, l’occupazione militare delle missioni Usa e Nato in Afghanistan, quell’Afghanistan a cui Gino ha dedicato anima e corpo per tantissimi anni e sul quale ha svolto, il giorno prima di morire, la sua ennesima riflessione: «Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi. Un fallimento da ogni punto di vista: 241 mila vittime e 5 milioni di sfollati, i talebani più forti di prima e, soprattutto, un Paese distrutto. Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano».

Caro Gino, grazie per tutto quello che hai fatto. Grazie per il tuo insegnamento, grazie per il tuo impegno, per le vite salvate e per il percorso che hai intrapreso, che ora sta ora a noi riprendere, per contribuire a costruire un altro mondo ancora possibile.

Seguono i firmatariPubblicato il 17 agosto 2021
sulla Gazzetta di Mantova

Mantova per la Pace, rete provinciale di associazioni, cittadine e cittadini con le associazioni aderenti:

  • Arci provinciale
  • Associazione Colibrì
  • Cgil
  • Cooperativa Il Mappamondo
  • Coordinamento soci Banca Etica
  • Emergency
  • eQual
  • Ethics Expo
  • Gruppo La pace ci piace
  • Libera
  • Libertà e Giustizia
  • Mediterranea Saving Humans
  • Movimento Nonviolento
  • Namaste Ostiglia
  • Officina dell’Intercultura
  • Progetto “Ambiente e Costituzione”
  • Università Verde Pietro Toesca

Via il memorandum firmato con la Libia

Appello a Draghi – Fermare le stragi nel Mediterraneo

Mantova per la Pace aderisce all’appello che 29 organizzazioni laiche e religiose hanno inviato alcuni giorni fa al presidente Draghi, per cancellare il Memorandum con la Libia e fermare le stragi che continuano a consumarsi sotto i nostri occhi nel Mediterraneo, sulle coste italiane e su quelle libiche. Dal 2017, anno della firma da parte del nostro Governo del Memorandum con la Libia, oltre ai morti innocenti in mare, assistiamo all’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata con risorse italiane e della UE, che ha ricondotto più di 60mila persone nei centri di detenzione governativi e soprattutto, fatto ancor più grave, in quelli gestiti dalle milizie paramilitari.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite Filippo Grandi è intervenuto più volte, anche di recente durante la visita nel nostro Paese, per sottolineare la necessità di interrompere queste operazioni perché la Libia non può essere annoverata tra i “Paesi sicuri”, mancando le condizioni per il rispetto dei diritti umani e del diritto d’asilo. Non è accettabile che si parli di “salvataggi dei naufraghi”, quando nelle sedi istituzionali europee e nazionali è ben noto che essere riportati in Libia significa essere condannati a violenze, torture e abusi di ogni tipo, a rischio della vita.

In questi giorni il Governo ha inviato al Parlamento la delibera che rinnova le missioni militari, e tra queste anche quella che riguarda la Libia. Se si vuole realmente promuovere il processo di pace in quel Paese e sottrarre la principale arma di ricatto alle milizie e alle bande che continuano a controllare il territorio libico e le sue coste, è necessario metter fine a ogni sostegno alla cosiddetta Guardia costiera libica ed evacuare immediatamente le persone rinchiuse nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali. Non è più possibile continuare a sostenere con risorse pubbliche gli aguzzini dei lager libici. Bisogna porre fine a questo orrore e invertire la rotta, dando vita a una nuova stagione dei diritti.

Riteniamo inoltre urgente che l’Italia torni a coordinare le attività di Sar nel Mediterraneo e supporti attivamente il lavoro di soccorso svolto dalle Ong. Oggi il Mediterraneo è un deserto che ogni giorno seppellisce, sotto le sue acque, vite umane della cui sorte i Governi sono responsabili. Sono più di 7mila i morti accertati dal 2017 ai nostri giorni.

Chiediamo, infine, una riforma delle politiche europee d’asilo che vada nella direzione di una ripartizione equa dei richiedenti asilo tra gli Stati, salvaguardando la dignità delle persone che arrivano alle frontiere, nel rispetto dei princìpi della nostra Costituzione e della legislazione europea e internazionale.

Da Mantova per la PacePubblicato il 11 luglio 2021
sulla Gazzetta di Mantova