Mentre in campagna elettorale si parla di tutt’altro, c’è un punto preciso che dovrebbe essere oggetto di riflessione da cui tutti ripartire. In una conferenza a cui di recente ho assistito ad Assisi, una prima slide esibiva questo messaggio: “Gli ultimi tre decenni sono stati più inquinanti dei precedenti 200 anni. Siamo una generazione irresponsabile”. La successiva mostrava, a partire dagli anni ’80, l’impennata del diagramma del riscaldamento globale con questo commento: “Una catastrofe annunciata”. Secondo green report negli ultimi 10 anni le catastrofi naturali in Italia hanno provocato 50 miliardi di danni e gli eventi estremi sono più che quadruplicati. Mentre la prevenzione rimane indietro, si annuncia un progressivo incremento di questi fenomeni. Il mare mediterraneo con la febbre assomiglia sempre più al mare dei Caraibi ed è in grado di alimentare eventi estremi di maltempo. Questi pochi accenni suggeriscono un ragionamento più ampio, che riguarda l’intero pianeta.
Se si continua a trattare la madre terra come una miniera da cui cavare tutto ciò che al momento arricchisce e come una discarica da riempire con montagne di rifiuti e l’atmosfera con miliardi di tonnellate di CO2 e altri inquinanti, creiamo un contesto sempre più invivibile. In maniera irreversibile.
La dimensione planetaria parrebbe astratta, lontana. In realtà è concreta, quotidiana e vicina. La minaccia nucleare e la dinamica ecologica fanno dell’umanità una comunità di destino, nonostante la scarsa coscienza. Papa Francesco così raffigura la situazione: “Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida”.
Negli anni scorsi sono stati pubblicati romanzi che rappresentano una metafora dell’attuale società umana. Il romanzo può avere un notevole impatto per risvegliare dal torpore mentale. Ne cito due.
“Cecità” è il romanzo di Josè Saramago. L’autore mette sulle labbra dell’unica vedente in un mondo di ciechi queste parole: “Il tempo sta per concludersi, la putredine dilaga, le malattie trovano le porte aperte, l’acqua si esaurisce, il cibo è ormai veleno… Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità”.
L’altro romanzo è di Amitav Ghosh uno dei più grandi scrittori indiani: “La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile”. E’ un titolo dinamico e proiettato al futuro. Cecità ricorre più volte nella narrazione. Ad esempio dopo la citazione di un autore: «Il denaro scorre verso il guadagno a breve termine. Verso lo sfruttamento eccessivo di risorse comuni non regolate. Queste tendenze sono come la mano invisibile del fato. Che nelle tragedie greche guida l’eroe verso l’inevitabile catastrofe» (David Archer). E lui commenta: «Questa è l’essenza dell’odierna cecità del genere umano».
La contraddizione di fondo nella quale ci troviamo è questa: da un lato è ormai chiaro che il surriscaldamento è globale e riguarda tutti, quindi è un problema collettivo, ma dall’altro domina una cultura che ha espulso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e da gran parte dei media. Il nostro comune modo di pensare prescinde, o addirittura si oppone alla dimensione collettiva. L’individualismo e il privato la fanno da padroni. Tutto questo produce la cecità.
Parlando delle istituzioni politiche Amitav Ghosh aggiunge: «Mi appare sempre più evidente che da sole le istituzioni politiche sono incapaci di affrontare questa crisi. Il motivo è semplice: il pilastro di queste strutture è lo stato nazione, che per propria natura è tenuto a tutelare gli interessi di un unico gruppo di persone…». Le pulsioni nazionalistiche diffuse nel mondo e presenti anche in Europa, sono come una cateratta che ostacola la capacità di guardare al pianeta in termini di sostenibilità globale e di diritto dei popoli, di tutti i popoli, a vivere in una terra abitabile. Così succede anche a casa nostra, dove la politica sembra aver smarrito il senso della propria mission, prigioniera di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività nella cura dell’ambiente, del territorio, dei beni comuni e della totalità dei cittadini e degli ospiti.
L’ultima parola del titolo è “l’impensabile”. Restiamo stupiti dinanzi ai segnali evidenti e quotidiani di uno sconvolgimento che con sempre maggiore frequenza aggredisce il nostro habitat e le nostre vite. Se non cambiamo rapidamente, essi rappresentano soltanto l’inizio di qualcosa che non riusciamo neppure a immaginare. L’impensabile appunto. E il tempo si è fatto breve. Ma la campagna elettorale non lo sa.
don Roberto Fiorini
Lettera pubblicata sulla Gazzetta di Mantova il 22 agosto 2022