Una riflessione di Don Roberto Fiorini

Mentre in campagna elettorale si parla di tutt’altro, c’è un punto preciso che dovrebbe essere oggetto di riflessione da cui tutti ripartire. In una conferenza a cui di recente ho assistito ad Assisi, una prima slide esibiva questo messaggio: “Gli ultimi tre decenni sono stati più inquinanti dei precedenti 200 anni. Siamo una generazione irresponsabile”. La successiva mostrava, a partire dagli anni ’80, l’impennata del diagramma del riscaldamento globale con questo commento: “Una catastrofe annunciata”. Secondo green report negli ultimi 10 anni le catastrofi naturali in Italia hanno provocato 50 miliardi di danni e gli eventi estremi sono più che quadruplicati. Mentre la prevenzione rimane indietro, si annuncia un progressivo incremento di questi fenomeni. Il mare mediterraneo con la febbre assomiglia sempre più al mare dei Caraibi ed è in grado di alimentare eventi estremi di maltempo. Questi pochi accenni suggeriscono un ragionamento più ampio, che riguarda l’intero pianeta.
Se si continua a trattare la madre terra come una miniera da cui cavare tutto ciò che al momento arricchisce e come una discarica da riempire con montagne di rifiuti e l’atmosfera con miliardi di tonnellate di CO2 e altri inquinanti, creiamo un contesto sempre più invivibile. In maniera irreversibile.
La dimensione planetaria parrebbe astratta, lontana. In realtà è concreta, quotidiana e vicina. La minaccia nucleare e la dinamica ecologica fanno dell’umanità una comunità di destino, nonostante la scarsa coscienza. Papa Francesco così raffigura la situazione: “Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida”.
Negli anni scorsi sono stati pubblicati romanzi che rappresentano una metafora dell’attuale società umana. Il romanzo può avere un notevole impatto per risvegliare dal torpore mentale. Ne cito due.
“Cecità” è il romanzo di Josè Saramago. L’autore mette sulle labbra dell’unica vedente in un mondo di ciechi queste parole: “Il tempo sta per concludersi, la putredine dilaga, le malattie trovano le porte aperte, l’acqua si esaurisce, il cibo è ormai veleno… Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità”.
L’altro romanzo è di Amitav Ghosh uno dei più grandi scrittori indiani: “La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile”. E’ un titolo dinamico e proiettato al futuro. Cecità ricorre più volte nella narrazione. Ad esempio dopo la citazione di un autore: «Il denaro scorre verso il guadagno a breve termine. Verso lo sfruttamento eccessivo di risorse comuni non regolate. Queste tendenze sono come la mano invisibile del fato. Che nelle tragedie greche guida l’eroe verso l’inevitabile catastrofe» (David Archer). E lui commenta: «Questa è l’essenza dell’odierna cecità del genere umano».
La contraddizione di fondo nella quale ci troviamo è questa: da un lato è ormai chiaro che il surriscaldamento è globale e riguarda tutti, quindi è un problema collettivo, ma dall’altro domina una cultura che ha espulso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e da gran parte dei media. Il nostro comune modo di pensare prescinde, o addirittura si oppone alla dimensione collettiva. L’individualismo e il privato la fanno da padroni. Tutto questo produce la cecità.
Parlando delle istituzioni politiche Amitav Ghosh aggiunge: «Mi appare sempre più evidente che da sole le istituzioni politiche sono incapaci di affrontare questa crisi. Il motivo è semplice: il pilastro di queste strutture è lo stato nazione, che per propria natura è tenuto a tutelare gli interessi di un unico gruppo di persone…». Le pulsioni nazionalistiche diffuse nel mondo e presenti anche in Europa, sono come una cateratta che ostacola la capacità di guardare al pianeta in termini di sostenibilità globale e di diritto dei popoli, di tutti i popoli, a vivere in una terra abitabile. Così succede anche a casa nostra, dove la politica sembra aver smarrito il senso della propria mission, prigioniera di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività nella cura dell’ambiente, del territorio, dei beni comuni e della totalità dei cittadini e degli ospiti.
L’ultima parola del titolo è “l’impensabile”. Restiamo stupiti dinanzi ai segnali evidenti e quotidiani di uno sconvolgimento che con sempre maggiore frequenza aggredisce il nostro habitat e le nostre vite. Se non cambiamo rapidamente, essi rappresentano soltanto l’inizio di qualcosa che non riusciamo neppure a immaginare. L’impensabile appunto. E il tempo si è fatto breve. Ma la campagna elettorale non lo sa.

don Roberto Fiorini

Lettera pubblicata sulla Gazzetta di Mantova il 22 agosto 2022

Inchino alla NATO

Svezia, inchino alla Nato:

consegna alla Turchia il primo attivista curdo

Ricatto – Per entrare nell’alleanza Helsinki e Stoccolma devono estradare militanti perseguitati.

L’alibi del governo scandinavo: “Non rischia la tortura”

L’attivista curdo Zinar Bozkurt è stato arrestato ieri in Svezia. Verrà estradato in Turchia, è accusato di terrorismo come membro del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Pkk. Il giovane, 26 anni, è arrivato a Stoccolma otto anni fa. Nel 2016 ha fatto richiesta di asilo, ma lo scorso marzo i servizi segreti svedesi, con il benestare dell’Ufficio Migrazione svedese, gli hanno notificato un avviso di estradizione. Da allora il giovane ha catturato l’attenzione mediatica. La combinazione di essere un attivista, curdo e omosessuale lo ha reso un bersaglio perfetto della propaganda turca.

Nei mesi scorsi Bozkurt ha rilasciato diverse interviste in cui ha spiegato che alla base delle accuse di terrorismo – il Pkk è considerato un gruppo sovversivo da Turchia, Usa e Ue – ci sono alcune sue foto in manifestazioni dove sventolano bandiere del Pkk. L’attivista ha più volte ripetuto di essere vicino al partito di opposizione Hdp, con posizioni di sinistra e filo curde. Secondo lui una volta estradato in Turchia verrebbe incarcerato e torturato senza nessuna prova, come già avvenuto a molti militanti del Hdp. Quando diciottenne fuggì in Svezia, la polizia di Ankara perquisì casa sua. Subito dopo venne arrestato e condannato a sette anni di carcere un suo amico: con Bozkurt aveva partecipato a diverse manifestazioni. Anche secondo le autorità svedesi la storia raccontata dall’uomo è reale, ma non ritengono che una volta estradato in Turchia ci sia il rischi che venga torturato. Dalla scorsa primavera, dopo aver ricevuto la lettera dei servizi segreti, Bozkurt ha deciso di vivere in clandestinità. Cambiava casa con frequenza “una volta ogni due giorni”, ma senza mai smettere di partecipare alla vita politica della comunità curda in Svezia. Secondo il suo avvocato l’estradizione è illegale, per questo è presentato un appello alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. L’arresto di Bozkurt avviene la settimana precedente a un importante incontro diplomatico tra le autorità di Ankara e quelle di Stoccolma ed Helsinki.

Alla conferenza della Nato, svoltasi a Madrid a fine giugno, la Turchia ha deciso di non porre il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Allenza Atlantica. Tra le richieste avanzate dal presidente Recep Tayyip Erdogan c’è una lista di 30 nomi che i due paesi scandinavi devono estradare in Turchia. Il colloquio della settimana prossima serve per negoziare quando e chi verrà rinviato ad Ankara. Bozkurt non è uno dei nomi della lista, ma un giovane curdo omosessuale è la personificazione di quello che il Sultano sta combattendo da anni. Tra i nomi fatti dalla Turchia ci sono diversi richiedenti asilo, ma anche persone che hanno già ottenuto i documenti europei. Uno di questi è Okan Kale, cittadino turco che arrivò in Svezia nel 2011. Fece richiesta di asilo politico, che gli fu negato poco mesi dopo. Kale si spostò quindi in Italia e fece una nuova richiesta e gli viene concesso un visto di due anni. Nello stesso periodo in Turchia è condannato per frode bancaria. L’uomo, con i documenti italiani, torna a Stoccolma dove si sposa, ottenendo così residenza e permesso di lavoro. Secondo le autorità scandinave il suo rinvio in Turchia non è stato influenzato dalla richiesta fatta da Ankara all’ultimo summit della Nato. “Normale routine” ha commentato il ministro della Giustizia svedese, Morgan Johansson.

Tra le persone che Stoccolma si rifiuta di estradare, tutte inserite nella lista di richieste turche, ci sono quattro uomini: Mehmet Sirac Bilgin, Aziz Turan, Ragip Zarakolu e Halef Tak. Tutti membri del Pkk, ma che hanno già ottenuto la cittadinanza svedese. Nel mirino di Erdogan non c’è solo la comunità curda, ma anche privati cittadini come Harun Tokak e Bulent Kenes. Entrambi sono accusati di essere parte del movimento Gülen, Feto per il governo di Ankara, che secondo le ricostruzioni dell’esecutivo avrebbero tentato un colpo di stato nell’estate del 2016. Nelle sommosse di quei giorni morirono oltre 2mila persone, Ankara ha classificato come terroristi tutti coloro che avevano avuto contatti con il movimento e incarcerato migliaia di cittadini.

di Cosimo CaridiPubblicato il 21 agosto 2022
Qui l’articolo originalesu “Il Fatto Quotidiano”

Quel terribile amore per la guerra

Dall’Ucraina a Taiwan:

Avanza quel terribile amore per la guerra

  • L’amore per la guerra avanza nel mondo contempraneo, lo testimoniano i conflitti che si riaccendono
  • Dalla mitologia al manifesto futurista di Marinetti, fino alla seconda guerra mondiale: la celebrazione della guerra e della violenza attraversa i secoli
  • Il sentimento di amore per la guerra spesso è occulto, va scoperto e smascherato

Avanza del nostro mondo contemporaneo «un terribile amore per la guerra», per utilizzare il titolo del saggio di James Hillman. Taiwan, Bosnia, Kosovo, Caucaso, Siria, Medio Oriente, Gaza, Kurdistan, Yemen… tutti i conflitti si riaccendono uno dopo l’altro, anche quelli spenti da decenni, quasi sempre per “futili motivi” come le targhe automobilistiche a Mitroviça. Il viaggio della speaker del Congresso Nancy Pelosi a Taipei ha sollevato una ridda di reazioni, determinato la collera dei cinesi che hanno messo mano a missili, caccia e incrociatori con il rischio di rasentare l’incidente fatale. Anche Corea del Sud e Giappone – alleati di ferro degli Stati Uniti – non hanno nascosto la loro irritazione per l’inutile provocazione. La guerra in Ucraina, coi suoi rischi nucleari, ha contagiato il mondo, ad iniziare da buona parte del nostro establishment mediatico che non perde occasione per incitare alla guerra quasi fosse l’unica e più giusta soluzione. Nelle analisi e negli editoriali l’improvvisazione regna sovrana: prova ne sia l’eccitazione dei ragionamenti e la rabbia che traspare ogni qualvolta qualcuno si oppone. Invece di dibattere si biasima, si accusa, si denuncia per tradimento.

Dal mito a oggi

Per comprendere tanto improvviso amore per la guerra sembra che ci si debba rivolgere ai miti antichi: l’uomo che cede ad essi si fa prendere dal suo fondo pagano. La questione è se la guerra sia radicata nella cultura umana e/o necessaria alla società. Senza giungere al manifesto futurista di Marinetti («noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna»), pare proprio di essere di fronte alla rimozione della coscienza pacificatrice nata dopo la seconda guerra mondiale, in favore di un’idea in cui la guerra torna a essere la triste compagna della storia umana e un destino ineluttabile o irreversibile. La guerra diviene così, come diceva René Girard, quell’emozione che unifica una società e costruisce l’unanimità nella violenza. L’atto fondante della violenza fabbrica il consenso: patriottismo esasperato, nazionalismo dell’odio per le patrie altrui (fossero etniche, religiose o culturali), guerra preventiva e così via.

Non esiste guerra santa

Come ben sa chi la guerra l’ha fatta, quando scoppia un conflitto tutti vengono presi da stress da combattimento che poi si trasforma in stress post traumatico: non si ragiona più lucidamente.

Chi si fa ghermire da tale abbaglio pensa che non esista una soluzione pratica alla guerra, perché la considera come la verità archetipica dell’uomo. L’inumano si mette al posto dell’uomo, si traveste da umano. L’amore per la guerra avanza sempre mimetizzato (da amore per sé, vittimismo, rancore, nostalgia ecc.): va smascherato il prima possibile per svelarne l’impostura.

Non esiste guerra santa o giusta: solo la pace è santa e giusta.

di Mario Giro, politologoPubblicato il 17 agosto 2022
Qui l’articolo originalesu “Domani”