Via il memorandum firmato con la Libia

Appello a Draghi – Fermare le stragi nel Mediterraneo

Mantova per la Pace aderisce all’appello che 29 organizzazioni laiche e religiose hanno inviato alcuni giorni fa al presidente Draghi, per cancellare il Memorandum con la Libia e fermare le stragi che continuano a consumarsi sotto i nostri occhi nel Mediterraneo, sulle coste italiane e su quelle libiche. Dal 2017, anno della firma da parte del nostro Governo del Memorandum con la Libia, oltre ai morti innocenti in mare, assistiamo all’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata con risorse italiane e della UE, che ha ricondotto più di 60mila persone nei centri di detenzione governativi e soprattutto, fatto ancor più grave, in quelli gestiti dalle milizie paramilitari.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite Filippo Grandi è intervenuto più volte, anche di recente durante la visita nel nostro Paese, per sottolineare la necessità di interrompere queste operazioni perché la Libia non può essere annoverata tra i “Paesi sicuri”, mancando le condizioni per il rispetto dei diritti umani e del diritto d’asilo. Non è accettabile che si parli di “salvataggi dei naufraghi”, quando nelle sedi istituzionali europee e nazionali è ben noto che essere riportati in Libia significa essere condannati a violenze, torture e abusi di ogni tipo, a rischio della vita.

In questi giorni il Governo ha inviato al Parlamento la delibera che rinnova le missioni militari, e tra queste anche quella che riguarda la Libia. Se si vuole realmente promuovere il processo di pace in quel Paese e sottrarre la principale arma di ricatto alle milizie e alle bande che continuano a controllare il territorio libico e le sue coste, è necessario metter fine a ogni sostegno alla cosiddetta Guardia costiera libica ed evacuare immediatamente le persone rinchiuse nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali. Non è più possibile continuare a sostenere con risorse pubbliche gli aguzzini dei lager libici. Bisogna porre fine a questo orrore e invertire la rotta, dando vita a una nuova stagione dei diritti.

Riteniamo inoltre urgente che l’Italia torni a coordinare le attività di Sar nel Mediterraneo e supporti attivamente il lavoro di soccorso svolto dalle Ong. Oggi il Mediterraneo è un deserto che ogni giorno seppellisce, sotto le sue acque, vite umane della cui sorte i Governi sono responsabili. Sono più di 7mila i morti accertati dal 2017 ai nostri giorni.

Chiediamo, infine, una riforma delle politiche europee d’asilo che vada nella direzione di una ripartizione equa dei richiedenti asilo tra gli Stati, salvaguardando la dignità delle persone che arrivano alle frontiere, nel rispetto dei princìpi della nostra Costituzione e della legislazione europea e internazionale.

Da Mantova per la PacePubblicato il 11 luglio 2021
sulla Gazzetta di Mantova

Non c’è pace senza giustizia

Israele e Palestina davanti alla Porta di Damasco

Non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani. Non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.

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Dopo undici giorni di raid israeliani su Gaza e di lanci di missili da parte di Hamas, una fragile tregua ha momentaneamente interrotto la prevedibile e impressionante escalation di violenze che ha coinvolto tutti i territori palestinesi occupati e quelli israeliani, con razzi e bombe che hanno colpito la popolazione civile, ferendo e uccidendo bambini innocenti, ma anche con durissimi scontri e morti in diverse città dove si è bruscamente interrotta la convivenza tra arabi ed ebrei. Purtroppo da anni la irrisolta questione israelo-palestinese è assente dall’agenda internazionale. Anche la questione di Gerusalemme e del futuro della città resta sospesa. Sono questioni che non si risolvono certamente con prove di forza, né con l’imposizione da una parte o dall’altra, ma soltanto con un consenso generale.

Oggi siamo di fronte al risultato tragico di una politica del disprezzo e dell’arroganza portata avanti dalle formazioni estremiste della destra religiosa israeliana. E questo disprezzo è sempre l’anticamera della violenza. Ma se da una parte la destra religiosa ultranazionalista ha gettato benzina sul fuoco, dall’altra ha fatto eco l’ostinata battaglia di Hamas che ha utilizzato strumentalmente la vicenda della Moschea di al Aqsa a Gerusalemme, dove è stato impedito ai palestinesi musulmani di avere accesso ai Luoghi Santi durante il Ramadan e di pregare liberamente. Da entrambe le parti si è utilizzato l’aspetto religioso per contaminarlo con la politica, rendendo ancor più complessa una soluzione. A queste controversie aggiungiamo lo sgombero forzato delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah (Gerusalemme est), operato dalle forze di sicurezza, che non può essere ridotto ad una controversia immobiliare, ma che rappresenta il frutto della politica di apartheid di Israele.

Tutti questi episodi ci interpellano, come costruttori di pace e di giustizia, e ci spingono ad andare alla radice dei problemi affrontandone la complessità. Come si fa a vivere in pace – è stato giustamente sottolineato – quando vengono confiscate le tue terre, quando la tua casa viene demolita, i coloni moltiplicano illegalmente gli insediamenti e ogni giorno viene eretto, oltre al Muro, un reticolato di divieti di cemento difesi con il mitra spianato? Tutto questo avviene sotto occupazione militare, contro il diritto internazionale. Allora non basta più invocare la fine delle violenze, da una parte e dall’altra. Nessuna pace può essere costruita sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, gli abusi, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazione dei diritti umani.

Pensare di risolvere la “questione palestinese” con gli espropri forzati, le demolizioni di case e sostituendo la popolazione attuale con nuovi insediamenti ebraici (come a Gerusalemme Est), è quanto di più dannoso e contrario alla costruzione di una pace giusta e alla convivenza tra le due comunità. Siamo convinti che non si risolve nulla con le bombe su Gaza o, da parte di Hamas, lanciando missili sulla popolazione civile di Israele. Occorre prendere atto che settant’anni di guerre, di violenza e di negazione delle ragioni e del dolore dell’altro hanno aggravato il conflitto, portandolo in un vicolo cieco. Per tanti palestinesi e israeliani è tenuta ancora accesa la speranza di vivere in pace, molti movimenti dal basso (israeliani, palestinesi e israelo-palestinesi) lavorano per promuovere il processo di pace, consapevoli che non c’è e non ci sarà mai pace se non si attiva un percorso di nonviolenza che garantisca parità di diritti e dignità. Non ci sarà pace se non si insisterà sull’educazione, sull’incontro e sulla fraternità. Non si arriverà a nessuna pace finché i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia.

Seguono i firmatariPubblicato il 23 maggio 2021
sulla Gazzetta di Mantova
  • Claudio Morselli (Movimento Nonviolento) (Mantova per la Pace)
  • Marco Pirovano (Centro diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro)

Appello a Draghi sul tema ambientale

Draghi

Sulle tematiche ambientali il Piano nazionale di ripresa e resilienza, frettolosamente approvato dal Consiglio dei ministri, non ha introdotto sostanziali modifiche rispetto al programma di lavoro del ministro della Transizione ecologica Cingolani, le cui gravi criticità ci avevano spinto a inviare una lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi. Il testo completo della lettera è disponibile su Facebook, all’indirizzo https://www.facebook.com/mantovaperlapace/posts/3956927237686279. Si può sottoscriverla mettendo un like, un commento e/o condividendo il post sul proprio profilo, oppure inviando una mail a mantovaperlapace@gmail.com. Qui di seguito ne proponiamo una sintesi, a conferma del nostro giudizio negativo.

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Signor Presidente, abbiamo condiviso le Sue affermazioni sulla necessità di proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale. Abbiamo apprezzato l’impegno Suo e del Governo quando ha dichiarato che «vogliamo lasciare un buon pianeta» e che perciò è necessario «cambiare i modelli di crescita, con un approccio nuovo rispetto all’agricoltura, alla salute, all’educazione, alla protezione dei territori, alla biodiversità, al riscaldamento globale….» mettendo al centro la salvaguardia dell’ecosistema globale. Ci preoccupa però la mancanza di volontà nel tradurre queste affermazioni in un progetto politico fatto di priorità e provvedimenti coerenti. Le riforme, per essere efficaci, devono intervenire sull’impianto economico-finanziario che alimenta la crisi climatica, devono rispondere al dramma della povertà e delle disuguaglianze sociali, di cui Lei stesso ha riconosciuto l’aggravamento.

Ma tutto questo nel programma di lavoro del ministro della Transizione ecologica Cingolani non c’è, così come non ci sono riferimenti alla necessità di riconciliarci con gli habitat naturali e con il vivente, alla riduzione dei consumi energetici e alla modifica dei nostri stili di vita. La prospettata conferma dei sussidi per le fonti fossili, l’enfasi su due tecnologie attualmente inconsistenti (il sequestro di carbonio e la fusione nucleare), l’incremento delle aree per l’estrazione di idrocarburi, rischiano inoltre di vanificare i progetti di decarbonizzazione.

Ci preoccupa, infine, l’ulteriore, ennesimo, aumento delle spese militari che si vorrebbe realizzare tramite i fondi del Recovery Plan, per sostenere la già fiorente industria bellica italiana, che farà incrementare, ancor di più, le esportazioni di armi. Questo è un vero e proprio scandalo, così lo ha definito papa Francesco a Pasqua: «La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso– non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari».

Le chiediamo quindi di ripensare ad azioni coerenti per la realizzazione di un’effettiva transizione, o per meglio dire una “conversione” ecologica. Vogliamo che i fondi del Next Generation EU favoriscano un’economia inclusiva e sostenibile, un’economia della Pace. Molte proposte sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono state avanzate dall’Associazione Laudato si’, dalla Società della cura con il Recovery PlanET, da Fridays For Future, Greenpeace, Legambiente e altre associazioni ambientaliste, oltre che dalla Rete Italiana Pace e Disarmo. Ripartire dalla “normalità” del passato non basta più, il futuro nostro e dei nostri figli ci chiede urgentemente un deciso cambiamento di rotta.

Seguono i firmatariPubblicato il 1 maggio 2021
sulla Gazzetta di Mantova
  • Claudio Morselli (Mantova per la Pace)
  • Sofia Pasotto (Fridays For Future Mantova)
  • Marco Pirovano (Centro diocesano per la pastorale sociale e del lavoro, Mantova)