Un nuovo studio conferma quanto già da tempo risaputo, ma negato dalla narrazione mediatica e politica sulle migrazioni. Non sono le rotte dal Sud al Nord del pianeta le più battute, ma quelle interne al Sud. Anche in Africa.
Decolonizzare la narrazione, ma anche la conoscenza, sui migranti e sulle migrazioni. È il solo modo per rendere giustizia alla realtà e smettere di dare visioni distorte e scorrette sui flussi migratori. Contrariamente a quanto raccontano i media e contrariamente al focus delle politiche europee, non sono le migrazioni lungo le rotte Sud-Nord del mondo quelle più massicce ma quelle interne, quelle che dal Sud rimangono al Sud. In Africa come in Asia o in America Latina.
Se ne parla meno, se ne conoscono meno le dinamiche e per questo si rischia di fare scelte sbagliate, di riproporre errori e di continuare a criminalizzare territori e persone verso i quali occorrerebbero, invece, decisioni e politiche ampie e lungimiranti. Decisioni che davvero incidano sullo sviluppo, le disuguaglianze, le crisi umanitarie. Spostare l’asse della conoscenza e della narrazione in tema di migrazioni – finora dominata da media, politici e ricercatori del Nord del mondo – è lo scopo del Mideq (Migration for Development and Equality), un hub di circa 90 ricercatori che stanno studiando il movimento lungo sei corridoi migratori tra 12 paesi del Sud del mondo. (…)
Questo è ciò che dicono i dati (riferimento 2015): il 37% del totale dei migranti a livello globale (90.2 milioni) si muovono all’interno del Sud del pianeta mentre è il 35% che emigra verso il Nord. E per quanto riguarda i rifugiati – altro tema forte della stampa occidentale – l’85% è ospitato nel Sud del mondo, spesso all’interno di paesi o regioni confinanti. Sono 32 milioni gli sfollati interni in Africa. «Di solito, la narrazione suggerisce un esodo dal Sud al Nord del mondo. Ma osserviamo, per esempio, l’Africa occidentale, descritta come una fonte di migrazione irregolare verso l’Europa. Qui circa il 64% dei migranti si sposta verso un’altra destinazione nell’Africa occidentale. Era l’80% nel 1990». Un calo, si spiega, che non è dovuto al fatto che si stiano spostando al di fuori del continente, ma che ora ci sono nuove destinazioni oltre l’Africa occidentale, come il Gabon o la Guinea Equatoriale. Flussi dal Nord Africa si spostano, invece, sempre più – come afferma lo studio in questione – verso il Medio Oriente.
Non conoscere queste nuove rotte – alcune delle quali sono consolidate da tempo – significa fare scelte sbagliate. L’attenzione sulle migrazioni cosiddette irregolari, fuori dall’Africa, ha causato per esempio la politica di esternalizzazione dell’Unione europea che riguarda anche alcuni paesi dell’Africa occidentale. Tra questi il Niger, strada di accesso verso il Nord Africa e poi l’Europa.
«Tali politiche che si basano sul presupposto che tutti nell’Africa occidentale si stiano muovendo verso l’Europa, cercano di fatto di limitare la mobilità oltre quel territorio», dice Teye. Lo sguardo concentrato sulle migrazioni esterne, inoltre, fa perdere di vista i benefici che le diaspore interne potrebbero portare allo sviluppo, ma anche la necessità di una loro maggiore protezione.
Molta della migrazione interna è dovuta a conflitti e agli effetti della crisi climatica, carestie e insicurezza alimentare. E in questo caso a muoversi sono quelli che non hanno neanche la possibilità di tentare il viaggio per arrivare in Europa.
Che la strada delle migrazioni sia cambiata, anzi che non sia esattamente quella raccontata nell’emisfero occidentale, si sa da tempo. Lo ha detto in modo circostanziato un anno fa – ma studi erano già stati precedentemente proposti – l’Africa Migration Report – a cura dell’Unione africana e dello Iom (Organizzazione internazionale per le migrazioni). Sfidare la narrativa era, guarda caso, il titolo del lavoro. Una cosa è chiara: la maggior parte dei migranti africani non attraversa il mare, ma i confini terrestri all’interno del continente. E si muove all’interno della regione in cui si trova il paese di provenienza. La narrazione europea, inoltre, continua a non tenere in conto che il 94% degli africani che si trasferiscono in un altro continente lo fa in modo regolare e che gli africani sono solo il 14% del totale della popolazione migrante. Un’ignoranza – consapevole, visto la mole di dati e studi a disposizione che dovrebbero convincere al cambio di visione e narrativa – che influenza a cascata le scelte politiche, le normative sull’immigrazione, l’opinione pubblica. E che, forse è il caso di dirlo, produce errori su errori.
Di Antonella Sinopoli | Pubblicato il 20 luglio 2021 |
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